Remixare per attualizzare
Gli archivi delle biblioteche sono miniere, spesso inesplorate. La tecnologia può aiutarci a farle conoscere.
Sebbene siano diventate il mio lavoro relativamente da poco tempo, le biblioteche sono da sempre tra i luoghi che frequento in maniera più assidua. In queste visite mi sono ritrovato spesso davanti a grandi scaffalature dedicate alla storia locale; di solito ci si trovano vecchi volumi, fascicoli segnati dal tempo, VHS che immagino in pochi avrebbero la strumentazione necessaria per riprodurre. Più raramente si vedono persone impegnate a rovistarle. Mi hanno sempre dato l’impressione di essere pareti fossili, testimonianza di eventi che spesso le biblioteche non hanno le risorse economiche, di tempo lavoro e strumentali, per valorizzare come vorrebbero.
In Italia ci sono più di 7.000 biblioteche pubbliche e private aperte al pubblico e quasi ognuna ha almeno uno scaffale di questo tipo. Non solo, spesso ciò che viene esposto è una piccola parte del patrimonio complessivo, il resto trascorre i suoi anni custodito nei magazzini interrati. C’è, insomma, un’enorme offerta di materiale dedicato alla storia locale e, almeno apparentemente, una richiesta di fruizione da parte del pubblico piuttosto esigua.
Eppure, lì in mezzo, c’è quasi sempre una miniera. Ci sono storie personali, trascorsi familiari, vicende industriali che, intrecciate insieme, hanno definito la storia del Comune a volte, spesso, travalicandone i limiti territoriali e sconfinando nella storia regionale, in qualche occasione facendosi nazionali. Ci sono i mattoni che nel tempo hanno reso la biblioteca che li ospita proprio quella biblioteca e non una biblioteca. Ci sono i fili invisibili che legano i destini delle persone, facendole comunità.
Fortunatamente non siamo davanti a un problema senza soluzione, come molte esperienze, bibliotecarie e no, hanno dimostrato. Cerco di dividere la questione in due parti, aiutandomi con altrettante domande.
La prima: il fatto che poche persone siano interessate a consultare questi esemplari è veramente un problema?
La risposta, la mia, perlomeno, è che… dipende. Nei giorni in cui lavoravo a questo numero della newsletter mi è capitata la fortuna di poter visitare a Bergamo, in Città Alta, gli archivi della biblioteca Angelo Mai e della sua sezione staccata intitolata a Gaetano Donizetti.
Luoghi di meraviglia, in cui la vista si perde continuamente tra volumi secolari, raccolte di quotidiani e riviste di inizio ‘900, la più imponente collezione al mondo di opere di e su Torquato Tasso e ancora microfilm, due globi, uno terracqueo e uno celeste, del XVII secolo dal diametro superiore ai 3 metri e l’elenco potrebbe proseguire per molte altre righe.
Nelle sale di via Arena, intitolate a Gaetano Donizetti, trovano spazio molti manoscritti originali del compositore bergamasco, tra cui un’emozionante, non saprei come altro definirla, edizione dell’Elisir d’amore.
Pausa: prima di proseguire ascoltate l’aria di cui vedete qui sopra le prime note.
Quando guardo il manoscritto resto incantato osservando la scrittura elegante, il solco lasciato sulla carta, le notazioni a margine, le gocce d’inchiostro cadute per sbaglio e tutti gli altri segni capaci di rendere quell’esemplare un pezzo unico, diverso da tutti gli altri. Esistono casi in cui l’oggetto fisico È l’informazione e, in queste situazioni, la possibilità di poterlo osservare da vicino è fondamentale a renderne possibile la completa conoscenza.
Non sempre, però, i materiali con cui abbiamo a che fare sono un tale concentrato di significato. Molto più frequenti sono i casi in cui l'oggetto fisico è solo un supporto per l’informazione e qui la risposta comincia ad essere più sfumata perché se ciò che ci interessa trasmettere è il contenuto è veramente necessario che qualcuno ne maneggi lo specifico contenitore?
Per questo la risposta alla prima domanda non può che essere variabile, perché se tutti siamo d’accordo sul fatto che tra i compiti di una biblioteca ci sia anche quello di valorizzare la storia locale sulla base del principio secondo cui conoscere il passato arricchisca la comprensione del presente (che sia la comprensione di un singolo individuo, o quella di un’intera comunità) penso si possa concordare anche sul fatto che non sempre l’informazione viaggi indissolubile dall’oggetto su cui è depositata.
La seconda domanda: è un problema senza soluzione?
La domanda è, come potete immaginare, retorica e la soluzione a cui voglio alludere è quella che dà il titolo a questo numero di marginalia. Remixare per attualizzare: partire da quello che abbiamo, analizzarlo per coglierne gli elementi essenziali e distillarli in un prodotto che utilizzi un medium diverso, più adatto al pubblico che vogliamo raggiungere. Attenzione, non si tratta di un semplice lavoro di trasferimento. Non basta prendere le VHS, riversarle in un file digitale e caricarle così come sono su YouTube. È un’operazione più fine, fatta di scomposizione del materiale originario, selezione, scarto e ricomposizione in una forma nuova. Può trattarsi di un video caricato in rete che di quelle VHS assembli le parti più interessanti, di una narrazione social, di un podcast che racconti in più puntate una vicenda particolare, di una mostra che trasformi in immagini gli snodi fondamentali di un vecchio volume. È un lavoro impegnativo che, come dicevamo, richiede tempo e risorse raramente disponibili in una biblioteca, un certo spirito di scavo, capacità di selezione, una forte propensione alla sintesi, competenze tecniche più o meno ampie a seconda del tipo di prodotto che si vuole realizzare. Allo stesso tempo è un lavoro affascinante, perché ricollega il passato al presente e perché può essere un forte attivatore di collaborazioni: con un’associazione che si occupa di storia locale, con un gruppo classe da coinvolgere in un’operazione che è al tempo stesso didattica, creativa e laboratoriale, con operatori e operatrici di Servizio civile, con persone che magari hanno un legame diretto con quegli eventi e con chi li ha vissuti.
Infine, cosa più importante, è un lavoro che ci impone di scegliere. Scegliere quali parti dell’originale preservare e quali scartare, quali portare in risalto e quali limitarsi ad accennare. Ogni scelta lavora su quei fili invisibili che legano gli oggetti alle persone, ogni scelta ne recide alcuni e ne stringe altri. Si tratta di scegliere i fili giusti, da far risuonare con la sensibilità di chi ascolta oggi.
In molti casi operazioni simili sono già state realizzate con successo. Penso ai racconti social di Johannes Buckler, ai numerosi progetti Wiki costruiti dalla Biblioteca Comunale di Trento o, ancora, al podcast Illustri, prodotto dalla biblioteca Tilane.
Le idee non mancano, i mezzi espressivi neanche e, con più di 7.000 biblioteche in cui cercare, quante storie aspettano solo di essere scoperte e rinforzare il tessuto narrativo che rende tale ogni comunità?
Tema molto interessante. Sono convinta che i depositi delle biblioteche siano ricchissimi tesori e permettano scoperte straordinarie sul territorio. Altrettanto sono convinta che favorire le ricerche su questi documenti e appassionare i giovani alla ricerca sia fondamentale. Con dei "distinguo" però: le riduzioni o le manipolazioni per rendere più "simpatici" i testi, a volte rasentano la strada lieve delle fakes e, nella attuale confusione di comunicazione, nella fatica crescente di distinguere il vero dal semplificato, il rischio è quello di arrivare a storie che con la storia hanno ben poco a che fare e la indico con la s minuscola, convinta che la Storia sia anche una grande fake. Muoversi sulle uova non è cosa da improvvisare, non è cosa alla portata di tutti. Leggere e documentarsi, avere accesso alle fonti, sì invece. MA certo è meno lieve e meno eccitante per i più. Bisogna trovarla mio parere, una modalità corretta.
La storia locale ha un potenziale educativo e didattico straordinario. Quello che immagini per i materiali negletti sulla storia locale si può fare utilizzando sistemi di intelligenza artificiale che analizzano le immagini. Lo so, non ti convince, ma in questo caso costerebbe molto meno e richiederebbe meno tempo: due vantaggi non irrisori ;-)